Speciale Ucraina: il ricatto del grano | ISPI

2022-07-01 20:55:23 By : Mr. Jay Sun

Turchia e Russia cercano un’intesa per il grano. Kiev teme che i russi ne approfittino per attaccare i porti e Mosca chiede in cambio lo stop alle sanzioni.

La Russia apre alla possibilità di creare dei ‘corridoi del grano’ per consentire l’uscita di milioni di tonnellate di frumento bloccato in Ucraina ma chiede in cambio un allentamento delle sanzioni: è questo, in breve, l’accordo che il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha presentato oggi in una conferenza stampa congiunta al termine di un atteso vertice con l’omologo russo Sergei Lavrov. “Se dobbiamo aprire il mercato internazionale al grano ucraino, consideriamo la rimozione degli ostacoli che si frappongono alle esportazioni russe come una richiesta legittima”, ha detto Cavusoglu. Il ministro turco ha definito la proposta “ragionevole” e “attuabile”, offrendosi di ospitare un incontro a Istanbul per discutere i dettagli del piano. Secondo Ankara il governo di Kiev – che non è stato convocato nella capitale turca – sarebbe pronto a garantire il passaggio delle navi nelle acque minate. Ma allo stato attuale non sembra che l’incontro abbia dato il via libera all’export di decine di tonnellate di cereali bloccate nei porti ucraini a causa della guerra. Nelle ultime settimane, l’atteggiamento di Mosca sul dossier grano era apparso più collaborativo e la recente visita del presidente senegalese Macky Sall dall’omologo russo Vladimir Putin a Sochi ha dato un’accelerata alla trattativa per scongiurare una gravissima crisi alimentare in diversi paesi dell’Africa e del Medio Oriente.

Il commento di Paolo Magri, Vice Presidente esecutivo di ISPI

Dalla conferenza stampa a margine dell'incontro emerge che Turchia e Russia hanno raggiunto un accordo di massima che prevede l’impegno di Ankara per sminare le acque del Mar Nero e permettere la partenza delle navi cargo piene di grano bloccate nei porti ucraini, che poi la marina turca scorterebbe fino ad acque neutrali e da lì si dirigerebbero verso il Mediterraneo. Si tratta di un carico tra i 20 e i 25 milioni di tonnellate da cui dipende – come ha avvertito l’Onu – la vita di centinaia di milioni di persone. Il portavoce del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, Ibrahim Kalin, si è spinto oltre dicendo che esiste una bozza di memorandum. Ma perché diventi un accordo internazionale condiviso la strada è ancora lunga. Il governo di Kiev – che non è stato coinvolto direttamente nelle trattative – sospetta della reale buona volontà di Mosca e non ha ricevuto nessuna garanzia sul fatto che, una volta resi operativi i porti, i russi non cercheranno di aprirsi vie d’accesso per penetrare sulla terraferma. I tentativi di mediazione da parte della Turchia sono solo gli ultimi di una lunga serie compiuta negli scorsi giorni dai governi di diversi paesi e dallo stesso segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.

Il ruolo di mediatore nei negoziati e la sua posizione di cerniera tra Oriente e Occidente ha proiettato Ankara in prima linea. Ma Erdogan fa leva sul timore occidentale di una crisi alimentare globale e sul bisogno di Putin di non mettere a repentaglio le relazioni con i suoi partner mediorientali e africani per perseguire i propri interessi. Quello in corso nella capitale turca, infatti, è un incontro cruciale anche per la Turchia e il suo leader, che punta a trarre il massimo guadagno dalla ribalta diplomatica: se da un lato il presidente turco cerca di sbloccare la trattativa sul grano, per intestarsi il merito di aver scongiurato una grave crisi alimentare globale, dall’altro punta ad ottenere il via libera di Mosca per una nuova operazione militare contro i curdi nel nord della Siria. L’obiettivo è quello di spingersi fino a Kobane, per creare una zona “cuscinetto” dove reinsediare i profughi siriani in Turchia, sempre più malvisti dagli abitanti delle regioni orientali del paese. Un doppio colpo vincente per l’immagine del leader dell’Akp, in vista del voto previsto nel 2023, pesantemente danneggiata dalla crisi economica e monetaria. E che consentirebbe di imbrigliare gli Stati Uniti – alleati dei curdi del Rojava – prima dell’assenso turco sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato.

Se le trattative per i corridoi del grano non porteranno i risultati sperati, l’attuale crisi alimentare non potrà che peggiorare. Russia e Ucraina coprono quasi il 30% di tutto l’export globale di grano, senza contare le esportazioni di altri cereali impiegati per i mangimi animali. Inoltre, i due paesi hanno il controllo di quasi il 12% del mercato dell’olio di semi di girasole. Ma la guerra in corso non è l’unica causa di una spirale potenzialmente devastante: le eccezionali ondate di caldo in Pakistan e India e una ridotta resa delle coltivazioni in altre aree del mondo a causa di eventi riconducibili al cambiamento climatico hanno fatto impennare i prezzi e innervosito i mercati che puntavano sul secondo produttore mondiale di grano per far fronte alle carenze di fornitori dal Mar Nero. L’annuncio dell’India, che ha deciso di bloccare l’export, rischia di accelerare la spirale di crescita dei prezzi con conseguenze drammatiche soprattutto nei paesi più poveri. A maggio, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha avvertito che “lo spettro di una carenza alimentare globale” si aggira per il mondo e potrebbe durare per anni. Se, come è probabile, la guerra si trascinasse e le forniture da Russia e Ucraina continuassero ad essere limitate, centinaia di milioni di persone in più potrebbero cadere in povertà. “Quello che sta già accadendo in Sri Lanka, Indonesia, Pakistan e Perù – ha avvertito il Direttore Esecutivo del World Food Programme, David Beasley – è solo la punta dell'iceberg”.

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications.

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